30.6.11

Corso di fumetto (post che avrei dovuto scrivere il 04.10.2010)

Non lavorare è stancante.
Mi sono dimesso da tre mesi ormai, è quasi giunto il tempo che inizi a fare qualcosa di serio. E invece sono qui: stanco!
Perché potrei starmene delle ore qui seduto, nell'attesa di realizzare il pensiero perfetto. Un equilibrio mistico tra parole e significato, l'essenza primordiale dell'arte declamatoria. E non lo scriverei, lo so già. Avessi il pensiero perfetto non lo scriverei, ma lo affiderei effimero all'insicurezza della mia memoria.

Comunque, in questa atarassia mi imbatto sul corso di fumetto online organizzato dalla Coniglio Editore. Non ho mai pensato di scrivere fumetti, non ho mai pensato di scrivere a dire il vero, ho sempre scritto e basta.
Ma l'idea di confrontarmi con qualcosa, di risolvere dei problemi, di imparare delle cose (lavorare insomma), in questo momento è dominante in me. So già che ogni volta che ho smontato e rimontato un giocattolo poi qualche pezzo è sempre avanzato. Ma la passione di vedere dietro alle cose è sempre stata più forte della mia irrisoria propensione al rischio.

Per essere ammessi occorre inviare un racconto e io di racconti non ne ho mai portato a termine uno. Occorre poi che questo racconto piaccia e che magari sia scritto in italiano, magari non aulico, ma in italiano.

Bene, prendiamo un pezzo del diario della Colombia, qualche frase presa a caso dalla Moleskine, quell'idea sui due che si incontrano in autobus, mescoliamo bene ed ecco qua: "l'incontro".
A rileggerlo intuisco ogni cucitura, ogni rugoso congiungimento di quel patchwork intriso di ogni mia debolezza.
Ma avevo fretta e avevo voglia di provare.
Ora invio e vedremo come andrà a finire.

Il racconto è questo:

"Le strade strisciano lambendo gli steccati ubriachi dei ranchos, alcune s'insinuano sotto le assi marcite con le ultime piogge, incespicano nei cortili, si spingono in certe curve ad accarezzare i pavimenti delle case; sono ruvide come letti di torrenti in secca, alcune scendono ripide e pietrose trascinandosi dietro sé detriti di terra rossa, argillosa, altre salgono lievi, scrollandosi sotto al sole come cani, con movimenti morbidi: perdono pezzi come ghiacciai d'estate, strisce di terra scavate dai rigoli d‘acqua, crepe, cicatrici di faglie sotterranee: ognuna è reduce dalla propria guerra, ognuna mostra fiera le sue ferite. Alcune sono asfaltate quando non piove, altre si nascondono timide dietro alle case vergognandosi del loro vestirsi polveroso e sudicio.
Quella che scende verso il suo incontro è così, dopo l'incrocio tra la avenida 8^ e la calle 31^, soffocata tra due casette la trovi, a non saperlo si passa dritti perché la via scende talmente in pendenza che non si vede dalla strada, come se chi forzò quel passaggio avesse voluto tenerlo nascosto: quasi a dare alle persone che vagano cercando casa l'opportunità di fallire l'ingresso.
Le strade riposano le ossa rotte all'albeggiare, le ruote sfrigolano nel fango acquoso; l’autobus arranca costeggiando il marciapiede.
Il vento gelido di un inverno anticipato lo avvolge, come a voler rallentarne la corsa, come a frenare quella valanga umana che si stringe tra i sussulti. Si blocca, riparte, si piega a ogni curva quasi a ribaltarsi. Ognuno si avvinghia a ciò che può, occhi vuoti di risveglio, c’è chi si aggrappa a un silenzio, chi al suo disturbante vociare, chi alla sua magra speranza…la porta si apre. Nessuno scende. Solo altra gente, altre anime che premono per la propria porzione di viaggio. Si riapre. Si richiude. Si riapre. Scosta, inciampa, ballonzola, frena, accelera..decine di teste come frasche si adeguano a quel movimento, si piegano all’unisono come una mareggiata, come la schiuma di un’onda che assale la costa e si ritrae. Ognuno si sorregge.
Lui è sospeso nel suo osservare, i pensieri ancorati al nulla, gli occhi che assecondano quel fluttuare inconsulto della folla che si apre come un sipario di fronte alla sua staticità…piccoli teatri che inscenano il loro spettacolo minimale, pochi secondi di rappresentazione per delineare una vita, scovare un particolare, una parola…La gente scende. Risale. Si assesta recitando la scena logora del quotidiano. Al di là del vetro il mondo insegue la propria monotonia; un cielo immobile dipinge lo sfondo di un sole smarrito. Si siede e osserva. Ancora.
Come se fosse lui il regista di tutto quell’alternarsi di forme, facce, rumori, vite. Osserva, come se non fosse lì, come se fosse in bilico su un filo teso al di sopra di tutto, lontano...lontano.
La porta si apre. E' il solo a scendere. Come sempre.
Il declivio di quei due gradini rugginosi è una corsa rallentata lungo il pendio del suo respiro, ogni attimo un interminato sorprendersi. Afferra gli occhi di lei smarrendo il suo sguardo nel liquoroso avvolgersi dei loro colori, è ancora autunno lì. Scivola sulla loro superficie d'opale, sogno smeraldino: poi solo il denso grigiore della strada. La porta si chiude. Lei è salita.
Come ogni giorno: l'incontro."

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