12.7.11

5000 chilometri al secondo - ovvero la vita, l'amore e le tic tac


Quand'ero bambino passavo intere giornate a osservare il mondo attraverso una scatolina di tic tac.
Mi affascinava filtrare nel prisma dei colori scene comuni: le auto che passavano, la gente ferma sul marciapiede, una tovaglia scossa dalla finestra.
Rimanevo lì. Incantato da come, attraverso il mio nuovo occhio sul mondo, tutto apparisse diverso, tutto acquistasse una nuova leggerezza, nuove movenze, addirittura nuovi significati.

Perché parlare in giallo non ti scalda l'anima come parlare in rosso e le parole dette in blu le senti più fredde sulla pelle.

Manuele Fior fa questo.
Dal suo borsello dei colori estrae le scatoline con cui osservare la storia di Piero e Lucia (e Nicola).
Si siede e guarda. Senza parteciparvi, senza emozionarsi. Scruta la danza di addii e ritorni e addii che si anima di fronte ai suoi occhi.
E come lui, anche chi legge si ritrova affascinato da come il filtro cromatico influisce sulla percezione della storia, più ancora che dalla storia stessa.
Perché quel che racconta Fior è semplice. Addirittura scontato nel suo gioco delle coincidenze, nella ciclicità dei sentimenti, nell'insoddisfazione cronica del vissuto.

E' semplice quel che vediamo.
Come se l'autore avesse deciso di alzare la sua scatolina solo di fronte alle scene meno concitate.
Con garbo. Leggerezza. Discrezione.
Una discrezione che non è tanto per quel che si vede ma per come lo si mostra.
Perché la sensazione non è mai di morbosità. In questo spiare silenzioso delle vicende di due innamorati non innamorati, la sensazione che ti pervade è la malinconia. Come se a un certo punto fossero tue quelle storie. E dovessi scegliere su quale percorso continuare. Con amarezza.

Fior arriva, ti mostra quel che succede in un periodo e poi fugge. A 5000 chilometri al secondo.
Il tempo di far abituare gli occhi a una certa luce e sei già altrove. Un altro tempo, un altro spazio.
Quel che succede lì in mezzo dipende da te. Sapere se i protagonisti abbiano avuto o meno vite felici dall'ultima volta che li abbiamo visti, cosa li ha fatti piangere, quali esperienze hanno portato loro a essere ciò che sono, a vivere così come li vediamo. Possiamo solo immaginarcelo.
E quel triangolo imperfetto che Fior tratteggia e solo una di quelle figure impossibili che confondono la mente ancor prima che gli occhi.

Ogni capitolo un colore, ogni colore un'emozione spezzata, accennata, interrotta.
Nei i disegni c'è la solitudine prospettica di De Chirico, lo sviamento cromatico di Gauguin.
Gli acquerelli sono densi e liquorosi. A volte incerti, discontinui.
Come la vita.

E' come se non fosse abbastanza.
Come se la storia non fosse proprio quella che si voleva, come se i disegni non fossero sempre quelli che ci si aspettava. Mancanze, assenze, amarezza.
Come la vita.

Arrivando all'ultima pagina mi sono sentito deluso. Non insoddisfatto sia ben chiaro, leggere "5000 chilometri al secondo" è come pescare a caso in una raccolta di poesie di Neruda. Ma deluso.
Per com'è andata, per quel che non sono riuscito a immaginarmi, per quel che avrei voluto conoscere in quell'ultima pagina, e invece c'era solo quel che già sapevo.

Come la vita.


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