20.7.11

Memorie dal sottosuolo


Diciasette anni di buio.
Aspettare.

Rannicchiati nel ruvido soffocare di una coperta, pesante di terra.
Aspettare.

Si chiama Magicicada, e già il nome racchiude quella magia dell'inaspettato che affascina bambini e sciocchi.
Vivono così.

Le uova si schiudono e le larve sprofondano nel terreno.
E lì rimangono. Per diciassette anni.

Ad annoiarsi riparandosi dalle talpe, a sfiorare i granelli di quell'immensa clessidra a forma di mondo che immobile le sovrasta.
E loro lì. Nel silenzio di quel ventre limaccioso, sabbioso, arido, argilloso, mutevole.
E loro lì. A illudersi di ciò che saranno. A ripercorrere ogni giorno gli stessi pensieri, un futuro rumoroso di sole ed estate. Immaginano.

Senza mai respirare il disinganno degli anni che passano, senza  badare a quelle assenze fallaci, lontane.
Aggrappandosi a quell'attimo eterno in cui sono state fagocitate da un rugoso nulla, quell'istante in cui hanno scorto dietro di loro il cielo.

Come un'immagine rimasta impressa sulla retina.

Chiudono gli occhi e la lasciano scivolare davanti a sé.

E di quel ricordo si nutrono. Silenziose. Per diciassette anni.
Fiduciose.

Fino a quel giorno.
Fino a che un'estate immobile le chiama a riempire il suo vuoto.

Allora scavano, tutte insieme. Centinaia di migliaia, milioni, scavano verso quel sogno.
Verso quell'idea germinata nell'oscurità, un pensiero che si arroventa di luce e rumore.

Escono, tutte assieme.

Escono a morire.

Non importano canti, le orge, le uova, il ciclo della vita.
Non ha già più senso il frinire esausto tra le pieghe delle cortecce, il bacio afoso del sole sulle ali socchiuse, il chiarore della luna su cui addormentare il ricordo della terra.

Escono a morire.
E per una lunga estate muoiono. Muoiono fino a rinascere.
Rifecondando il ventre molle del sottosuolo, dandosi appuntamento ancora lì.

Tra diciassette anni.

P.s. Anche se non so ancora come, questa ricerca sulle cicale mi servirà per il corso di fumetto...

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