5.7.12

Sweet Salgari - ovvero salici piangenti


Non è facile.
E' questione di stati d'animo, forse.

Direi che è meglio partire da qui, dai salgàri.
Salici viminali in italiano.


In ogni ricordo che sfoglio c'è sempre una scala appoggiata, una nebbia lattiginosa che si intreccia tra i filari delle vigne le bine, e spesso mio nonno, più giovane, con la forbice da potatura e gli stivali di gomma.
Taglia, in bilico tra il fosso e la solidità biancastra del cielo.
Mia nonna raccoglie le strope (che sono i rami tagliati) e li lega in fasìne (che è quasi italiano), vedo solo il foulard che le cinge il capo, lo vedo fino a che non solleva la testa mi guarda e sorride.
Io con una vis-cia in mano fendo l'aria, maltratto la corteccia di quell'albero tozzo su cui non ci si può nemmeno arrampicare, è una frusta, una spada, una corda per stringere il braccio fino a non far passare il sangue.

Ecco, mi sembrava la cosa migliore da cui iniziare.

Emilio Salgari di quella pianta porta il nome e probabilmente anche il profilo tracagnotto, quell'irragiungibilità misera di chi è portato per il farsi sopraffare, la propensione a essere sfruttato, sfoltito, depauperato periodicamente di quella che è la sua essenza.

(E la capacità di far sognare, di trasformare un ramo in una fantasia, una parola in un mondo, l'immaginato in adiacente.)

Ma non è di Salgari che devo parlare, non della sua storia umiliata e umiliante, quella la trovate su wikipedia.
E sì, sappiate che alla fine morirà. Male.

(leggevo l'articolo della stampa che annunciava la morte dello scrittore, a un certo punto dice
Lui, che mai aveva viaggiato. Ecco, questo mi ha fatto tanta, ma tanta, tristezza...)

Paolo Bacilieri è veronese. Come Salgari.
Disegna fumetti, alcuni li scrive anche. Lo fa con passione, e si vede,
Lo fa anche con intelligenza, estro, personalità.
(mi fermo qui, ché se inizio a parlare di cos'è stato Bacilieri su Napoleone o Jan Dix mi serve un altro post)

Insomma, questo disegnatore bravo ha pensato e pubblicato una graphi nov un libro che si intitola 'Sweet Salgari' e racconta la storia dello scrittore di avventura che è di Verona, come lui.

Lo racconta sovrapponendo l'un l'altra cartoline dell'epoca. Istanti rubati, conversazioni carpite, documenti trafugati.
Lo fa mantenendo il pennino in bilico tra la morbosità della spia e la distrazione del passante, il tratto chiaro, essenziale. Così come le porzioni di storia che centellina in un'alternanza frugale. Essenziale.
Ci mostra tutto, ma nulla di più di quel che necessitiamo per seguire il percorso, punti sparsi, scene di vita, momenti, tappe. In un cammino di avvicinamento a una fine che risulta palese fin dall'inizio, una fine che è storia, che è storie.

Bacilieri gioca coi contrasti, coi paradossi, colle inesattezze.
Il Gange lambisce le vie di Torino e chissà quale dei sette mari inonda Genova: è la realtà che si arrende, che china il capo di fronte all'immaginazione, al sogno, alla propria inadeguatezza.

Perché alla fine è questo che ci cruccia, fin dalla prima pagina (o dalla prima cartolina se preferite), la devastante sensazione d'inadeguatezza con cui la figura del protagonista si muove tra le pagine del reale.
Bacilieri lo disegna nella dimensione di un foglio eppure (pur non utilizzando accorgimenti grafici) il personaggio di Salgari sembra incollato sopra a ogni sfondo, sovrapposto a un mondo di cui è sottoposto, incollato posticciamente all'esistente a discapito dell'immaginato. (adesso citerò Svevo lo so, manca poco...)

Le vignette sono scoperte casuali, spiragli in cui incappa l'occhio scorgendo un discorso oltre la breccia di un muro, la toppa di una serratura, un incontro fortuito.
E' un libro d'attesa, di disvelamenti, di ricerca empatica. Perché sono quei libri in cui a un certo punto trovi qualcuno che interpreta te stesso, che fa quel che faresti tu, che soddisfa la tua necessità di personalizzarla quella storia. E quel qualcuno arriva.
Piccoli lettori, occhi sognanti, indici incerti a percorrere claudicanti le righe dei suoi libri.

Quanto amore, davvero, è una storia d'amore questo libro.
E noi siamo lì in mezzo, guardiamo coi lucciconi quella penna spezzata (un luccicone solo, perché abbiamo la benda da pirata, noi!), e ci meravigliamo di quanto avventuroso sia stato quel viaggio.

Leggetelo.


[Epilogo. La fila di salgari non tende più le sue dita stecchite verso il cielo funereo, ora sì che ci si può arrampicare, sedersi addirittura sulla sommità, è un pomeriggio buio d'inverno.
E da lì la maggese è un mare furioso da cui salvarsi, a cui urlare la nostra superiorità. E laggiù c'è una luce, un'isola da raggiungere senza poggiare i piedi a terra. Stacchi un grosso pezzo di corteccia, è uno scudo pensi, e tanto l'albero sopravviverà...]



4 commenti:

  1. fino a qualche minuto fa credevo che višča e fazina fossero termini del nostro mondo contadino di madrelingua slovena. ora scopro che son prestiti della dominazione veneta. da ex-filologa, 'sta cosa mi prende assai. andrò a informarmi.

    libro segnato. appena finito fun home, questo ci può stare.

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  2. beh, fazina è fascina e quindi fascio, direi che arriva diretto dal latino.

    višča, che avrei voluto scrivere anch'io così, potrebbe arrivare da vischio, ma mi è sempre piaciuto pensarla di derivazione onomatopeica per il sibilo che fa lo scudiscio (tipo fis-cia)

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  3. Me lo presti, bestiolo?

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    1. basta che lo tieni distante dalle bave dei nani ^_^

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È l'ultima cosa che potrete dire in questo posto. Pensateci bene prima di scrivere le solite cazzate...