10.5.14

Poi sia


Come dicevo qualche post addietro, con 'sta cosa che sono ancora su e giù da Milano e seguito a essere in piena ricerca di qualcosa di stabile non ho molto tempo di postare cose mie.
Capita quindi che, per non lasciare morire il blog, vada a pescare brani "rubati" ad altri, magari affabulazioni della mia adolescenza, cose che trovo in internet, libri che girano per casa.

A volte sono ricordi improvvisi, studi lontani, illuminazioni che ritornano a splendere per quella strana mistura di caso e memoria.
È proprio in questo contesto che nei commenti di qualche post ho citato, quasi senza rendermene conto, Gelindo Penico.

Gelindo, al pari di Buzzati o Piovene, è stato tra i massimi esponenti dell'intellighenzia veneta degli anni '60.
Tanto schivo e riservato nella vita privata quanto esuberante e satiro nei suoi componimenti, "el profesore" (come veniva chiamato nella sua amata/odiata Marisa sul Sile) alternava l'attività di insegnamento di matematica e scienze nella Scuola Media "Baldassarre Faccioli" (uno dei mille) a quella di scrittore e poeta per diverse riviste molto in voga a quei tempi, tra le più famose "L'eterea", "Anatemi", "L'urside deposto", "Carabattole" e soprattutto "Penetrazioni".
Inoltre nel 1968, in piena rivoluzione culturale, venne pubblicata quella che è forse la sua opera più famosa e conosciuta, una raccolta di poesie che uscì dapprima con l'anonimo titolo "Raccolta 1958-1968", ma che si impose nella sua seconda edizione (a opera dell'editore torinese Corsini) intitolata "Gelindo Penico - Gli ioni in fig.A" (ribatezzato dallo stesso Gelido: Peni e coglioni in figa)

L'antologia è presentata in quarta di copertina come: "l'utile idiozia di un condannato a vita, andate e ritorni sospesi in una fulgida riparazione di intenti primari. Gelindo Penico non fa il lavoro del poeta, non filtra la realtà coi suoi occhi ma anzi, la ripropone pedissequamente per tutto ciò che è, la rende al lettore come fosse solo un messo e non un creativo, la rende vera proprio perché intonsa. E la verità è più crudele di qualunque opera d'immaginazione".

E in effetti i versi burrascosi di "Cadrando", oppure il delizioso controcanto di "Tutto ciò che rima con sgualdrina" (i due componimenti inediti inseriti nel libro) già fanno presagire quale sarà il tono della raccolta.
Fa sorridere anche la censura subita durante una lettura al programma radiofonico "Poeti moderni", quando il verso "... dal perianale subisce come biscia, che non capisce se sia lingua o se piscia, che tanto calda pare infatti, da render abitabili tutti gli anfratti..." fu sostituito per non fomentare le sanguinose proteste che al tempo si stavano attuando a causa degli sfratti degli inquilini delle case popolari di Genova. Altri tempi...

Comunque, al Salone del Libro di Torino che si sta tenendo in questi giorni troverete una nuova ristampa di questo libro (che era divenuto ormai introvabile). Io vi lascio pubblicando qui "La cuspide", un sonetto del 1961 dai cui è stata tratta anche la nota canzone. Chissà che non vi venga coglia di farvi un giro e andarvelo a comprare.

Avevo capito ch'eri bilancia 
ma non c'ho dato peso,
d'oroscopi beninteso
credevo fosse ciancia.

Tu professatati leonessa
di letto e di mestiere,
l'artista del sedere
e finanche della fessa.

Or che invece m'adopro
a introdurti l'ascendente,
che sei vergine scopro

e quasi n'esco pazzo,
d'invero è che al presente
sei una cuspide del cazzo!

 



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