3.7.14

cuerpo escondido

Non è colpa dell'estate, non credo. Anche se non mi trova mai pronto del tutto.
Non che disprezzi quei silenzi da pomeriggi afosi, quando la gente non esiste e per un istante le cicale smettono all'unisono di frinire. (frinire, verbo incoativo, cioè che amplia il paradigma desinenziale ordinario con l'interfisso -isc- tra radice e desinenza, alla 1ª, 2ª, 3ª e 6ª persona dell'indicativo presente, del congiuntivo presente e dell'imperativo).

Che ogni volta che il canto d'una cicala s'interrompe a me ritorna alla mente il Saggiatore, Galileo, e quell'uomo curioso che cerca l'origine dei suoni fino a riassumerli nella vita stessa. Avevo quindici anni credo, terza superiore forse, in tasca un portarullino con ancora qualche gettone telefonico. Clank-clank, a ogni passo, quand'era quasi vuoto il suono sordo della plastica dura, altrimenti quel chhhsss da piatto di batteria. Scuoteva, come una cabasa, ritmava il suono del mio essere vivo, quando pedalavo a ripercorrere i sentieri dei miei innamoramenti, braccando le traiettorie imprevedibili di un super tele, arrampicandomi sui salici piangenti con quel cilindro che premeva sul quadricipite fino alla soglia del dolore. Clank. Clank.

Li trovavi sul ciglio della strada ricordo, ogni tanto capitava. E ti avvicinavi circospetto con nell'animo il gusto del sorprenderti, l'illusione del contenuto, la speranza dell'inimmaginato. Prima era solo un suono, da ascoltare con le dita prima ancora che con l'udito, poi la resistenza del tappo, il rumore leggero dell'aria che usciva. Quanto c'è stato lì dentro? come un tesseract dallo spazio infinito, come il gonnellino di Eta Beta, come le idee di quegli anni, fagocitate crudelmente dalle loro succeditrici.

Ora non ci sono più, e la cosa assurda è che servirebbero. Perché abbiamo ancora monete sonanti, biglietti, perline, hashish, batterie, sassi, biglie. Sono i rullini che non servono più, perché dovremmo privarci anche dei portarullini? È come per quegli animali che si estinguono a causa della sparizione degli insetti di cui si nutrivano.

Ecco, tutto per dire che probabilmente mi sento così, come una cosa che potrebbe essere utile ma che ha concluso il suo tempo. Mi sento così mentre scrivo, mentre mi lavo i denti, mentre cucino, mentre clicco sul pulsante pubblica di questo blog.

Sarà che l'estate non mi trova mai pronto del tutto.
E no, non è per la prova costume, anche se l'unico costume che mi potrebbe stare decentemente è quello da barbapapà.

È che non mi fa ridere niente di quel che penso, nemmeno le cose stupide. Anzi, è che non penso a cose stupide. E no, non sono cresciuto.

Quindi boh, pospongo.

(quando avevo quindici anni mi ero fatto tutta una tabellina dei significati sei vari suffissi della parola pongo.
pospongo = un bancomato fatto di pongo
sottopongo = sotto al pongo
impongo = dentro al pongo
appongo = andare verso il pongo
...
...
fatelo, ce ne sono tanti.
ripongo = un'altra volta pongo...)

2 commenti:

È l'ultima cosa che potrete dire in questo posto. Pensateci bene prima di scrivere le solite cazzate...